19 dicembre 2024 - 14:45
by AI Staff
Bruxelles,
BRU
Un recente rapporto intitolato 'State of European Tech' ha sondato gli umori di 3.500 fondatori e investitori del settore tecnologico europeo, rivelando che molti percepiscono le regolamentazioni dell'UE come un freno all'innovazione. Tuttavia, alcune normative potrebbero avere un impatto positivo. Il dibattito sulla burocrazia e il suo effetto sul progresso tecnologico in Europa continua ad animare discussioni tra gli addetti ai lavori.
Luogo: Bruxelles
Hashtag: #Innovazione #Europa #Burocrazia
tecnologia
Bruxelles
L'Europa deve innovare per non perdere con USA e Cina
23 dicembre 2024 - 17:56
by AI Staff
Bruxelles,
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Innovare o sparire. Tra gli ingredienti che compongono la ricetta dell’ex presidente della Bce Mario Draghi per salvare e attualizzare l’economia europea — schiacciata dalla morsa di Stati Uniti e Cina — oltre ad energia e sicurezza, anche quello di rimpolpare l’ecosistema dell’innovazione. Altrimenti, quella che aspetta al Vecchio Continente, sarà "una lenta agonia". All’alba della quarta rivoluzione industriale — quella dei dati, della cibernetica e dell’intelligenza artificiale, che lascia dietro di sé quella dei computer e dell’automazione, l’Europa non può, infatti, "permettersi di rimanere ferma nelle tecnologie e nelle industrie intermedie del secolo precedente", ha affermato l’ex premier durante la presentazione del Rapporto per il futuro della competitività europea. Ma già seguendo le grandi invenzioni del Secolo breve, quella del Vecchio Continente, pare a tutti gli effetti una rincorsa rovinosa per stare al passo con le innovazioni che trovano terreno fertile negli Stati Uniti e, in particolare, in quel luogo dove le cose hanno iniziato a succedere prima rispetto al resto del mondo: la Silicon Valley. Basta pensare che qui, tra le altre cose, sono state inventate le prime ram, i primi personal computer e la prima interfaccia grafica. I videoregistratori, i videogiochi, le calcolatrici palmari, le risonanze magnetiche nucleari, i laser, la robotica. Ancora, Google, Facebook, Apple, Twitter, YouTube. La visione eurocentrica, che ha dominato per secoli, inizia a tramontare. Fernand Braudel, uno dei principali storici francesi dell’école des annales, nella seconda metà del Novecento parlava già del fatto che la disuguaglianza fra l’Europa e il resto del mondo era ormai solo “storiografica”. Il Vecchio Continente si era infatti appropriato del mestiere di storico, guardando al passato e, di conseguenza, anche all’evoluzione, a partire solo ed esclusivamente dal suo punto di vista. Una miopia che non regge più, perché, profetizzava lo studioso, "la storia della non-Europa è appena agli inizi". Intanto, se il divario del Pil tra Europa e Stati Uniti a inizio millennio, nel 2002, era del 15 per cento, nel 2023 si è spalancato al 30 per cento. La motivazione principale cristallizzata nel Rapporto Draghi è la minore produttività dei Paesi europei. Un calo nel quale la capacità di innovare è direttamente coinvolta perché le aziende più competitive, oggi, sono quasi tutte tecnologiche e, tra le prime 20 al mondo, nessuna è europea. Uno studio realizzato dall’Università Bocconi con la Toulouse School of Economics e l’Istituto Ifo di Monaco — dal titolo "Eu innovation policy" e il sottotitolo eloquente "come sfuggire alla trappola della tecnologia di mezzo" — evidenzia come gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo si aggirino intorno allo 0,7 per cento del Pil. La stessa percentuale degli Usa. Ma, la grande differenza (oltre ai volumi) la fanno gli investimenti privati. Secondo lo studio, la spesa delle aziende europee raggiunge l’1,2 per cento del pil, rispetto al 2,3 per cento negli Stati Uniti. E non è solo una questione di quantità, ma anche di qualità: mentre quelle americane investono in settori innovativi e digitale, quelle europee insistono su settori più tradizionali. Un confronto su tutti: nel 2003 i principali investitori negli Stati Uniti erano colossi come Ford, Pfizer e General Motors. In Europa erano Mercedes-Benz, Siemens e Volkswagen. Nel 2022 i grandi investitori americani cambiano. Si fanno spazio le big tech — Alphabet, Meta e Microsoft — mentre in Ue la lista resta invariata, con la sola eccezione di Bosch che sostituisce Siemens. Solo quattro tra le cinquanta principali aziende tech al mondo sono nate in Europa e, persino gli unicorni volano via: un terzo emigra altrove, soprattutto e, ancora, negli Usa. Ma quali sono le motivazioni di questo ritardo tecnologico? Il recente studio “A Blueprint for the Digital Priorities of the New EU Mandate” di PromethEUs, la rete di think tank che riunisce quattro centri di ricerca sud-europei (oltre all’Istituto per la Competitività che lo coordina anche lo spagnolo center for global economy and geopolitics della Spagna, la greca Foundation for economic and industrial research e la portoghese Fundação Francisco Manuel dos Santos), fornisce più di qualche risposta. Innanzitutto, gli ostacoli di una fitta gabbia di regolamenti. I fornitori di servizi digitali nell’Unione si trovano infatti a dover far fronte ad oltre cento leggi esistenti e in cantiere, tra le quali il Digital Market Act, il Digital Services Act, il Data Governance Act, il Cybersecurity Act e altri ancora. Poi, la forte dipendenza tecnologica: l’Europa dipende da Paesi terzi per ben l’80 per cento dei suoi prodotti, servizi, infrastrutture e proprietà intellettuale digitali. Lo studio ripropone infatti un sondaggio condotto nel 2021 dal Consiglio tedesco per le relazioni estere (Dgap) che ha coinvolto esperti dell’innovazione provenienti dal mondo dell’industria, delle università e della politica. Quello che emerge è che la dipendenza dell’Europa verso tecnologie chiave come l’Ia e il cloud computing preoccupava già almeno la metà degli intervistati.
Luogo: Bruxelles
Hashtag: #Innovazione #Tecnologia #Europa